PUNTI DI VISTA

(nella fotografia, col cappellino, Giorgio Calcaterra della Running Club Futura – Roma Sud, vincitore della XVII edizione della maratona di Latina e Provincia)

 

Il giorno della maratona, per un atleta, è un giorno importante. È il giorno in cui mette sul piatto i sacrifici di duri allenamenti e tempo rubato alla propria famiglia per poter giungere al traguardo di una distanza che il più delle volte lo mette a confronto con se stesso, in altre è la sfida tra campioni, ma al 99% è pura voglia di divertirsi. Divertirsi? Si perché l’atleta, spesso, se non soffre, non si diverte. Pensiero masochista ma molto vicino alla realtà. La preparazione di un evento sportivo di così grande portata e la sua buona riuscita non dipende solo dai partecipanti, ma da tutta la macchina organizzatrice che opera in forma anonima, a partire dal comitato organizzatore per finire agli


sponsor i quali offrono premi e pasta party, passando per gli operatori alla viabilità e tante altre visioni della competizione. Una di queste è la realtà che gli atleti incontrano ogni 5 chilometri sulla distanza finale di 42. Si chiama “ristoro”. Ed è proprio su questo che vorrei spendere due parole. Partecipando alla XVII edizione della maratona di Latina e provincia, svoltasi a Sabaudia domenica 7 dicembre 2014, in qualità di volontario ad uno dei tanti ristori, ho potuto constatare a pelle la diversità delle motivazioni che spingono un atleta ad affrontare un percorso così arduo. Alzarsi la mattina di buon ora, caricare l’auto delle provviste e della struttura da dover montare, preparare i sali minerali, sbucciare la frutta, tagliare i dolci e quant’altro richiede del tempo, e vederlo letteralmente “evaporare” in pochi istanti, è un vero piacere in quanto significa l’apprezzamento di uno sforzo che, seppur minore a confronto con quello che affronta colui che corre, non è proprio una quisquiglia. Da questo punto di vista si riesce a vedere la differenza tra i primi, che spesso passano senza neanche degnare di uno sguardo le ricche cibarie preparate, e quelli che, bontà loro, vedono il punto di ristoro come uno dei traguardi intermedi assolutamente necessari per poter arrivare li dove qualcuno li sta aspettando per potergli mettere una medaglia al collo. I primi arrivano quasi inaspettati. All’improvviso da dietro una curva spuntano, passano, ed altrettanto velocemente li vedi allontanarsi. Si è piacevoli vederli volare sulle loro scarpette da professionisti, ma tutto svanisce in pochi secondi. Gli altri, quelli che sono dietro e che formano la massa multicolore e che sono la vera anima del podismo amatoriale, li vedi arrivare, spesso affaticati e, quando ti scorgono, gli si illuminano gli occhi perché spesso, ai ristori, non si trova solo benzina per i loro corpi, ma anche conforto per le loro anime. Uno scambio di parole, commenti e qualche volta sfottò, aiutano ad alleviare la fatica del momento. Fanno domande su chi è passato prima, cosa c’è nella torta fatta in casa o se si può avere un bicchiere di tè caldo in più. Sta di fatto che le loro impronte, lasciate sul terreno, stanno li a testimoniare, oltre al loro passaggio, un bagaglio di simpatia, conoscenza e sofferenza che scarica un po’ loro e arricchisce di quel po’ noi del ristoro, perché sapere di aver fatto bene la cosa giusta ci fa tornare a casa stanchi ma soddisfatti di essere stati un piccolo tassello nella loro grande impresa.

Mario Frisetti.