IL MIO PASSATORE
ANNO DOMINI MMXXIV
Con i suoi 51 anni (anche se le edizioni sono 49 per via dell’annullamento per il covid prima e per l’alluvione l’anno seguente ) rimane, una delle gare più affascinanti che si conoscano, detta la corsa più bella del mondo, che tutti i podisti, italiani e non, almeno una volta nella vita, dovrebbero disputare.
Quando si pensa all’ultramaratona, si pensa a questa gara, questo cammino estenuante lungo l’Appennino che da Firenze porta a Faenza.
Per l’ennesima volta, mi accingo a correre questa follia per alcuni, ma un sogno per noi che ci crediamo, è come ormai un appuntamento quasi d’obbligo.
Odiata e amata allo stesso tempo vuoi, proprio perché avendo cancelli orari molto larghi viene corsa da tanti con poco o addirittura senza allenamento indi, al di fuori della loro portata, aumentando così la possibilità di infortuni vuoi, per la presenza delle auto e biciclette degli accompagnatori degli atleti che creano intralcio ai concorrenti, la 100 km del Passatore va oltre, passa sopra a tutto. La storia di questa gara in Italia è la storia delle ultramaratone e solamente chi l’ha vissuta arrivando al traguardo di Faenza, a volte in lacrime può descrivere la gioia che si prova; si tratta di un viaggio con se stessi e come ogni ‘’ impresa’’ necessita di un pizzico di follia. Da persona normale prima della partenza, ci si trasforma in una persona migliore all’arrivo; è una grande occasione per dimostrare a se stessi che si possono fare grandi cose in quei momenti; rialzarsi miracolosamente ogni volta che si ‘’cade‘’. E come tutte le grandi corse essa diventa una metafora della vita, un intera esistenza raccolta nell’arco della durata di questo viaggio interiore; un viaggio che ognuno fa dentro e con se stesso e che sole le lunghe distanze permettono di realizzare. Momenti di buio e di sconforto si alternano a momenti di euforia determinata, anche dall’incontro di sempre nuovi amici lungo la strada compagnia questa, che permette di superare i tanti timori e situazioni insite in un percorso di tal fatta. E come in tutte le ultra maratone, difficilmente si resta indifferenti. Esse lasciano un segno indelebile che serve come esperienza per affrontare nuovi limiti. Ciò che rimane è un bagaglio umano di notevole spessore, ci si mette in gioco per testare la propria resistenza fisica, la capacità di sostenere certi ritmi, superare i propri, ascoltare interiormente se stessi, le proprie emozioni e fatiche, percependo alla fine valori essenziali, quali il rapporto con gli altri. Ed è così ormai da sempre, da quella mattina del 1973 quando nacque quella che allora si chiamava la “100 Chilometri del Passatore Firenze-Romagna (Faenza)”. Un’idea folle che all’inizio rimase in un cassetto ma che poi una sera prese corpo nella “Cà de Bè” a Bertinoro, davanti a una piadina al prosciutto e una bottiglia di Sangiovese. Lì, a tavola, si buttò il seme. E a buttarlo quel seme furono quattro appassionati della corsa che avevano in testa un’idea meravigliosa: Alteo Dolcini, forlimpopolese di nascita e segretario generale del Comune di Faenza, Francesco Checco Calderoni, faentino doc, assicuratore e presidente della sezione manfreda dell’U.O.E.I., Unione Operaia Escursionisti Italiani, Renato Cavina, giornalista di “Stadio” e della “Gazzetta dello Sport” e Carlo Raggi, giornalista del “Resto del Carlino. Cinquantuno anni fa e sembra ieri perché il tempo scivola via. Cinquantuno anni in cui la 100 chilometri del Passatore è diventata non un’ultramaratona ma l’ultramartona con l’articolo determinativo. Una e una sola. E’ diventata il sogno proibito, la sfida, la madre di tutte le corse per le migliaia di “folli” che hanno deciso di provarci. Centro chilometri da Firenze a Faenza partendo di pomeriggio e arrivando di notte o la mattina dopo attraversando, il cuore dell’Appennino passando nei paesi e nei borghi che restano svegli ad aspettare i partecipanti e ad applaudirli. La storia passa di qui. Ed è cosi anche quest’anno. Con 3500 iscritti che sono il nuovo record, la novità del 2024 sarà la presenza del re Giorgio Calcaterra che dopo aver vinto per la dodicesima volta farà il direttore della manifestazione. Il pre-partenza è un rinnovarsi di incontri tra persone che con me condividono la stessa passione; persone che amano cimentarsi in sfide a volte un po’ folli quasi oltre ogni limite umano compiendo gesti che per le per i comuni mortali vanno al di là della normalità, additati come pazzi, masochisti, amanti della sofferenza che sfidano il proprio fisico portandolo al limite di ogni umana sofferenza. E’ un mondo fatto di individui provenienti da ogni parte d’Italia, persone semplici ognuno, con la propria cultura e con la propria educazione, sguardi diversi, posture segnate dai tanti km fatti su e giù per il mondo ed è interessante ascoltare le proprie preoccupazioni, le diverse esperienze, i loro consigli a volte giusti, a volte sbagliati. In questo tipo di prove endurance con impegno massimo diventa importante, mantenere un sano equilibrio, una prestazione così lunga la si costruisce mentre la si fa; siamo tutti qui per provare qualcosa di noi stessi e forse anche per trovare qualcosa. E’ fondamentale aver chiaro in testa quale siano i reali obiettivi, fare quello che si può fare e non quello che si deve fare, senza eccessive pretese ed esagerazioni non temendo il giudizio degli altri, di chi sta a casa e ci giudica a posteriori. Questo tipo di competizioni vanno considerate come dei momenti di conoscenza interiore, un viaggio con se stessi combattendo le angosce, le paure che ci attanagliano come anche nella vita. In qualunque modo sia andata la prova e sempre il caso di non recriminare, dobbiamo accettare anche la sconfitta riconoscendo che abbiamo fatto del nostro meglio. Ogni esperienza ci deve portare a dire ora mi conosco di più, so dove devo migliorare, quale sono gli aspetti dell’allenamento che devo curare di più e godersi un sano recupero, leccarsi le eventuali ferite, farsi accudire dai familiari, gli amici. Concludere tale tipo di prestazione diventa una fonte importantissima di autostima per aver compiuto’’l’IMPRESA’’; per aver compiuto qualcosa di grande da cui deriva la riconoscenza di tutti, diventa una risorsa da custodire per sempre. Partenza dinanzi il Duomo fa venire i brividi anche ai veterani; ali di folla al passaggio, mani che non esitano a scaldarsi per applaudire, bambini che salutano. La strada inizia a salire e si sente tutta sulle gambe ancora fredde. Prima dell’erta finale che porta a Fiesole attraversiamo San Domenico, località rinomata per la presenza dell’antica badia fiesolana, cattedrale di Fiesole fino al 1118 poi ricostruita nel 1456 grazie alle donazioni di Cosimo de’ Medici sulla primitiva chiesa dell’undicesimo secolo appartenuta ai Benedettini
Si arriva a Fiesole, città “di quello ingrato popolo maligno”, che ci saluta al passaggio, le emozioni sono forti: si apre ai nostri occhi la città di Firenze con la cupola del Brunelleschi che svetta sulla su tutto.
Dopo aver scollinato sulla Vetta Le Croci, al km 16,5, finalmente la strada scende e permette di prendere un po’ di fiato. Il caldo e l’umidità della partenza paiono attenuarsi anzi una leggera brezza invade la strada e il bosco circostante. Si arriva al 32esimo km di Borgo San Lorenzo. La gara lascia temporaneamente la strada principale per entrare nel centro del paese, un passaggio sul tappeto e gli applausi scoscianti dei passanti. Ci si sente bene l’impressione è che si sta andando, si prende fiducia in se stessi e ciò da la carica giusta, ma si sa che la salita riprenderà e da lì un terzo di gara sarà andato. Le gambe vanno, ci si sente bene, euforici poi la strada sale, sale 34 mo, 35mo, 36mo…si cerca di non pensare al 100° ma solo al Passo della Colla, è solo quello l’ obiettivo, nulla di più, da lì, si potrebbe pensare che il più è fatto, ma non è così, si prosegue, la salita si fa piu’ dura e il fiato sale. Le gambe girano male, si arriva al cartello Maratona ma, non c’è troppo da distrarsi, la salita continua sino al km 48 a 913m s.l.m, li dove c’è il Passo della Colla e non perdona; non è difatti il punto di arrivo, come dicono molti: “una volta scollinato è fatta, poi è tutta discesa”. No! E’ lì che il Passatore ci mette alla prova, è lì che si concentra tutto: la notte, il freddo, i dolori, la stanchezza; tutto questo rappresenta la solitudine del maratoneta. E non bisogna illudersi che da quel punto inizi la discesa e gli ultimi 52 chilometri si possano correre. Bisogna evitare di farsi prendere dalla foga, rischiare di farsi prendere la mano. Si guarda avanti e indietro, è buio, ora si è soli, in compagnia solamente dei propri pensieri e ci si si perde tra i tornanti della strada color pece. Dopo aver sofferto il freddo in salita il mio primo desiderio è quello di arrivare all’agognato punto per il cambio abiti e conseguente al ristoro qui, ho la possibilità di tirare un po’ il fiato, cambiarmi, e poi giù per 47 km. Discesa illusoria.
Da questo momento inizia a intensificarsi il freddo nonostante ci si sia coperti, in quanto si percorre una valle lungo la quale scorre a tratti il fiume Lamone che nasce proprio ai 972 m della Colla di Casaglia e ci accompagnerà per tutto il percorso. Ho un leggero attacco di nausea dolori ai piedi e alle gambe e allo stomaco, e ancora una volta soffro maledicendo il giorno in cui mi sono iscritto ad un ennesima 100. Tutte uguali, sempre gli stessi panorami…ma chi te lo fa fare, queste le parole di mia moglie che mi tornano all’orecchio, ma come sempre e come tutti tornerò sui miei passi. I crampi allo stomaco mi costringono ad alternare il passo con la corsa e a non alimentarmi quasi più.
Dolce e chiara è la notte e senza vento, le lucciole con le loro luci intermittenti accendono il cielo. La strada dritta e larga non aiuta di certo, ma è sufficiente alzare lo sguardo e osservare il cielo stellato, maestoso, limpido e terso e la luna che rivela la sagoma delle colline per commuoversi e sentire tutta la nostra piccolezza. Nel buio, si ode il fiume scorrere sotto la strada, è di nuovo il Lamone incrociato qualche chilometro più su, subito dopo avere attraversato Passo della Colla, e poi ecco San Cassiano, Fognano, con le loro case arroccate e chiese immerse nella quiete della notte.
Non solo Firenze e Faenza insomma, rispettivamente luogo di partenza e di arrivo di questa corsa, ma una miriade di cittadine, borghi e piccole frazioni che partecipano attivamente, ospitando gli sportivi ed accogliendo a braccia aperte i centisti che passano, aspettando ciascuno di essi per incitarlo, tutta la notte fino all’alba.
Ormai, mancano circa dieci chilometri, forse una serie di ampie svolte in leggera salita non permettono di vedere Faenza, già festante per l’arrivo di numerosi atleti; E’ la volta ora di Brisighella e poi Errano intanto, comincia ad albeggiare.
A ricordarlo è il canto del gallo che scandisce il passaggio al nuovo giorno. Che meraviglia!
Con la gioia nel cuore e la consapevolezza che il peggio è fatto, arrivo al 95 km. Ora i chilometri sono tutti segnalati, ed è bellissimo leggere quei numeri con la consapevolezza di averli percorsi, inizia la conta, meno 5, meno 4 ecc… Il viale d’ingresso alla città vede atleti che aumentano l’andatura, alcuni non ce la fanno e rallentano, ma ormai è fatta, si vede in lontananza il campanile della chiesa, e le arcate della bellissima piazza il primo gonfiabile, l’arco con il timing finale, la medaglia sofferta, l’arrivo a Faenza con il passaggio sotto il display la consegna del vino.
E’ finitaaaa”.
PAOLO REALI